Recensione di I nomi propri di Marta Jiménez Serrano
Reading Time: 5 minutes
Marta Jiménez Serrano
Narrativa, autoficion
Giulio perrone Editore
2022
Cartaceo
307
Chi è Belaundia Fu? È la migliore amica di Marta a sette anni: l’amica immaginaria che, quando le cose non vanno come previsto e nemmeno la nonna riesce a confortarla, si siede con lei e aspetta che si senta meglio. Belaundia Fu è la voce ragionevole, ideale e infallibile che, quando Marta ha sedici anni e preferisce non ascoltare, le dice la verità in faccia: per esempio, che quel ragazzo, Charlie, non va bene per lei. Ma quando Marta ha ormai compiuto ventidue anni, quando si è laureata, quando comincia a prendere decisioni che segneranno il resto della sua vita, cosa ci fa Belaundia Fu ancora lì? È ancora lì perché è lei che ha sempre raccontato a Marta la sua storia. Chi è Belaundia Fu? ci chiediamo; eppure la domanda che conta davvero è: chi è Marta? Luminoso ed emozionante, I nomi propri è un’indagine sull’identità e sul rapporto che costruiamo con il mondo che ci circonda. Dominato da una voce narrante di eccezionale maturità, I nomi propri di Marta Jiménez Serrano riflette su come arriviamo a diventare ciò che siamo, sul fatto stesso di crescere e sul modo in cui lo facciamo: imparando a dare un nome a ciò che ci interessa.
Può un amica immaginaria seguirti più a lungo dell’infanzia e rimanere con noi fino alla vita adulta? Marta Jiménez Serrano ha pensato di raccontarcelo con il suo primo romanzo I nomi propri.
Il libro è stato tradotto in Italia da Olga Alessandra Barbato e pubblicato da Giulio Perrone editore il 30 giugno 2022, in un edizione che come sempre per gli standard a cui ci hanno abituato l’editore che è graficamente bellissima, nella copertina turchese disegnata da Claudia Intino.
I nomi propri è un romanzo intimo, personale, ispirato alla biografia della sua autrice, in cui la protagonista si mette a nudo completamente e si racconta in tutto e per tutto, nelle sue insicurezze e paure, nei suoi pensieri buoni o cattivi.
Senza una trama vera e propria seguiamo la sua vita nelle piccole cose comuni, che tutti possono condividere. Non si racconta in prima persona però, ma dandosi del tu: a parlare è la sua migliore amica, quella che la accompagna sin da bambina, quella nella sua testa, quella invisibile.
Ebbene sì, il racconto è scritto dalla prospettiva della amica immaginaria di Marta la protagonista, Belaundia Fu, che gli dà del tu in 300 pagine che riassumono la vita della ragazza, dall’infanzia da prima della classe, prima figlia, all’adolescenza arrabbiata, all’università, fino ad arrivare all’inizio della vita adulta, dove si trovo ad affrontare le difficoltà condivise da una generazione intera, tra i primi lavori e la ricerca della realizzazione dei propri sogni.
La peculiarità di questo libro è la prospettiva e la cifra stilistica: è un libro narrato quasi interamente in seconda persona singolare. Un esercizio di stile o forse una necessità per il tipo di racconto scelto da Marta Jiménez Serrano, che è riuscito perfettamente sia a livello di creatività ma anche di armonia generale, con una narrazione fluida e nella quale si entra totalmente.
La narratrice è una coscienza che parla alla Marta bambina (ma anche quella adolescente e la giovane adulta) raccontandole cose che le accadranno più avanti nella vita, tra un passato e un futuro che si fondono in un racconto che va avanti e indietro con disinvoltura, grazie a questa narratrice immaginaria.
L’effetto è unico: Belaundia Fu è una voce, la migliore amica, che sa tutto di lei anche quelle cose che lei non sa ancora.
Man mano che proseguiamo con la storia ci rendiamo conto che Belaundia fu è anche la proiezione di quella versione di noi stessi perfetta, che non potremmo mai essere; è sia la nostra coscienza che l’immagine che ancora non abbiamo di noi stessi, è la persona che siamo e allo stesso tempo quella che vorremmo diventare, è noi ma anche una amica e consigliera, nemica che ci ricorda quanto la maschera che mostriamo al mondo e alla società sia la peggiore di noi
«Non paragonarti a me, perché non ha senso. Lasciami essere dalla tua parte.»
Questo libro però parla anche d’identità, come il suo titolo sembra suggerire. L’amica immaginaria è un espediente che aiuta ad affrontare un tema universale e complesso come l’identità, come si forma. E di come si arrivi alla consapevolezza solo affrontando un po’ tutti gli aspetti di se stessi, anche quelli più brutti, o quelli che non ci piacciono particolarmente.
I nomi propri parla di moltissime altre cose allo stesso tempo: le tematiche affrontate infatti in questo romanzo sono disparate, seguendo un quarto di secolo di vita della sua protagonista; si affrontano temi infatti come la famiglia, gli amici, i primi amori, il rapporto con il proprio corpo, la perdita, i sogni e le aspirazioni, la aspettative degli altri e l’immagine che gli altri hanno su di noi. Le emozioni che I nomi propri suscita sono moltissime e comprendono uno spettro davvero ampio, esperienze facilmente condivisibili da chi appartiene alla generazione della protagonista, ma anche pensieri e turbe che secondo me ognuno di noi ha vissuto. Questi traumi e questo bagaglio emotivo vengono esorcizzati tutti grazie alla scrittura, messe in piazza e condivise con il mondo, forse anche per sentirsi e fare sentire gli altri meno soli in questo vissuto che sembra essere anche nostro e non solo di Marta.
A proposito di solitudine, credo che questo sia uno dei temi più importanti della storia. I nomi propri racconta pure della solitudine di una vita intera di questa ragazza, la solitudine delle aspettative che gli altri hanno su di lei, la solitudine nonostante si abbiano tante persone intorno, la solitudine che fa fare i conti solo con te stessa alla fine della giornata o al limite le diverse sfaccettature di te.
E poi trasversale a tutto il libro, il legame con la nonna (come la stessa autrice ha ammesso, la parte più biografica della storia e una delle mie preferite), raccontato con una dolcezza incredibile, che mi ha fatto emozionare in più punti e ricordato il rapporto con la mia di nonna.
Perché infondo I nomi propri mi è piaciuto così tanto perché mi è sembrato parlasse anche di me; non mi capita spesso di leggere nelle pagine di un libro scritto da altri qualcosa di così vicino al mio vissuto, ma e questo è il caso: ho avuto un empatia speciale con la storia, e mi è addirittura sembrato che alcune scene raccontate dall’autrice fossero dei flashback dal mio vissuto e che alcuni pensieri o sentimenti li avessi pensati anche io almeno una volta, identici. Ho vissuto anche un rapporto molto fisico con questo libro, che ho sottolineato, sul quale ho preso appunti, lasciato segni. Insomma, è stato amore.
Credo però che sia impossibile leggendo I nomi propri non sentirsi vicini a Marta, la cui storia è una storia normale ma allo stesso tempo è una sorpresa continua; non di quelle sorprese eclatanti, ma di quelle prese dalla normalità e dalla vita di una ragazza comune, speciale e unica ma relativamente come tante.
«Sono ancora qui, ma non ha più senso. Sono ancora qui, ma tra poco me ne vado. Sono tua sorella maggiore che prende sempre buoni voti e che ti sembra meglio di te in tutto. Ed è tempo che tu mi sbatta la porta in faccia.»
La casa editrice mi ha fatto leggere il libro in anteprima, ma non solo: lunedì 27 giugno ho avuto piacere di partecipare a una chiacchierata con la scrittrice che è stata molto disponibile e ha risposto ad alcune domande mie e di altre colleghe blogger. È stata una chiacchierata interessante, in cui Marta Jiménez Serrano ci ha raccontato quanto di autobiografico ci sia in questo libro (spoiler: molto poco, ma qualcosa lo è), ma non solo. Ci ha raccontato di alcune sue scelte stilistiche e le tematiche affrontate nel romanzo, ma anche delle sue influenze letterarie per la scrittura di questo libro. Ha citato a proposito Amèlie Nothomb che amo molto anche io (e il suo Metafisica dei tubi) cosa che mi è piaciuta moltissimo.
Una cosa che ha detto Jimenez Serrano mi ha colpito più del resto, quando si stava parlando del tema dell’identità. Centralissimo come dicevamo più su nel romanzo, parando di identità e di cosa avesse voluto comunicare lei attraverso questa storia, ha menzionato il solito modo di dire che sostiene che ognuno può essere ciò che vuole lei ha affermato: ma l’autrice ci ha dato la sua versione dei fatti, e ci ha detto che secondo lei non puoi essere ciò che vuoi, devi ascoltare te stesso e capire chi sei già; sii gentile con te stesso, parla a te stesso come un amico. Anche se la citazione non è letterale, uno dei concetti che ci passa l’autrice e che il suo libro parla della ricerca di sé, ma una ricerca che passa necessariamente attraverso la consapevolezza, in una maniera molto semplice ma realistica, molto dolce e controcorrente in una società che ci spinge sempre troppo spesso verso una ricerca di perfezione impossibile e irraggiungibile.
Lasciatemi dire dunque che I nomi propri di Marta Jiménez sanchez è un libro unico nel suo genere, con una prospettiva davvero speciale che appassiona per la sua storia ordinaria e straordinaria assieme. In fondo questo romanzo non è che una lunga lettera della protagonista a se stessa, nel quale rivede la sua vita con gli occhi di quella amica immaginaria che la segue da sempre. Un esercizio (anche di stile) che tira fuori tutto il possibile, che potrebbe far bene a tutti, per vedersi con occhi nuovi e capirsi un po’ meglio.
Se volete leggere il libro, potete acquistarlo al link affiliato Amazon.
Se volete leggere altri consigli di lettura invece vi invito nella sezione del blog Le recensioni di Book-tique.
Alla prossima con una nuova recensione!
Giorgia
Founder di Book-tique.
Nata nel varesotto alla fine dei gloriosi anni ’80, adottata da Trieste in giovane età e infine emigrata per qualche anno in Australia, e rimpatriata.
Nella vita ho fatto un po’ di tutto, ma le due costanti sono state l’amore per i libri e la passione per la scrittura. Per questo ho deciso di aprire questo blog e parlare con frequenza di libri e di quel che ruota attorno a loro.
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