Diario letterario di un’italiana in Australia: un anno a Bicheno, Tasmania

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L’Australia è composta per la maggior parte di zone rurali: la classica immagine che abbiamo infatti di questo sconfinato paese è il deserto, oppure la campagna e le sue fattorie, ma anche le spiagge deserte e foreste incontaminate.
Tutto vero, e quando sono partita e lasciato l’Italia sapevo che avrei vissuto anche questo genere di esperienze, ma non avevo idea di come sarebbe stata per davvero.

Dovete sapere che io sono una cittadina, di quelle anche rompiballe: sono nata a 20 minuti di treno da Milano, e vivere alle porte della grande città ti abitua ad avere tutto a portata di mano. Poi ho vissuto sette anni a Trieste, mi sono trasferita li quando avevo 23 anni, e pensate che quella volta fu un gran trauma per me: per me era inconcepibile trovare tutti i negozi chiusi di domenica o dopo le nove di sera.
Non dico che sia giusto pensarla così, ma vivere a Milano mi ha viziata e me ne rendo conto. E mai pensavo nella mia vita di poter resistere a vivere più di un anno in un paese piccolo come quello in cui sono ora: Bicheno, ridente cittadina nella costa est della Tasmania, uno spettacolo per gli occhi, ma la morte nel cuore per la vita sociale.

Bicheno infatti conta circa 800 abitanti, e per citare Andrea il mio amico e coinquilino, di cui se ne vedono in giro 200 scarsi.
Sarà stato il karma a punire il mio essere viziata a tutte le comodità cittadine, o il destino che per qualche oscuro motivo mi ha voluta qui, ma ci sono ancora, e ci vivo da novembre 2019.

Come sono arrivata a Bicheno?

Dopo aver vissuto in Queensland e lavorato in farm, pensando che quello fosse un posto desolato(ah, che idiota che ero), ho fatto un lungo roadtrip attraverso l’Australia e mi sono fermata a Perth, dal lato opposto del paese.

Dopo sei mesi di vita in città e feste io e Fede abbiamo deciso di andare a vivere ancora in zone rurali perché in fondo è così che ci immaginavamo la vita in Australia. Abbiamo fatto due settimane di vacanza in Thailandia a novembre del 2019 (idea geniale con il senno di poi, anche se non lo potevamo sapere all’epoca) e poi siamo arrivati in Tasmania, l’ultimo stato che ci mancava da vedere del paese.
Qui ci aspettavano un paio di amici, e nemmeno il tempo di arrivare a Hobart (la capitale dello stato) che i nostri amici ci portano a Bicheno: dopo aver fatto un colloquio per un’azienda sono stati assunti, e cercavano più gente.

Bene, partiamo all’avventura.

Perché ci sono rimasta più di un anno a Bicheno?

Non vi nego che all’inizio arrivata qui ero un po’ depressa e mi chiedevo cosa diamine ci facessi in mezzo al nulla.
Ma poi dopo un mesetto abbiamo iniziato a lavorare, trovato una casa vera, e col mi sono abituata all’idea.
Il piano era assolutamente diverso da wuel che è stato: volevamo lavorare qui qualche mese e poi spostarci di nuovo, magari al caldo in Queensland o a Melbourne. Ma il destino ha scelto per noi.

E così è arrivata la pandemia, la Tasmania ha chiuso i suoi confini, e noi avevamo (e abbiamo al momento) un lavoro che per quanto pieno di difetti ci ha sempre fatto guadagnare bene.
E siamo rimasti.
Ora il mio visto è legato all’azienda per cui lavoro dunque possiamo dure che sono “costretta” qui. Ma ci si fa l’abitudine e ormai abbiamo la nostra routine qui.

Com’è la vita in mezzo al nulla?

Difficoltosa, specie all’inizio, ma ci si arrangia.

Per darvi l’idea delle distanze australiane e per la ruralità totale della Tasmania vi faccio alcuni esempi: a Bicheno c’è un solo supermercato molto piccolo, una panetteria, una farmacia, una posta e un pub; un paio di ristoranti e tre rivendite di Fish and chips (va’ molto forte qua). E poco più: il resto delle attività commerciali aprono solo in estate quando arrivano i turisti. That’s it.

Se ti serve qualcosa di particolare c’è la possibilità molto alta che tu non la trovi in paese, e devi fare una scelta: o comprare su internet (santi Amazon e Ebay, non li ho mai usati tanto in vita mia), oppure prendi l’auto e ti fai due ore di macchina per arrivare a Launceston, la città più vicina. Sono 170 chilometri, come fare Milano-Genova, toh.
E ci si va in giornata quando si va li, quindi vi lascio immaginare la gita.
I miei colleghi a volte ci vanno semplicemente per andare a prendere da mangiare al fastfood (KFC o McDonald’s per lo più) e per me rasenta la follia. Ma lasciamo fuori i miei giudizi personali, se no potrei parlare anche troppo.

Dunque dal disagio delle mie parole capirete che è un esperienza che mi sta facendo riflettere su tante cose, c’è del positivo ma anche molte difficoltà basilari. Tipo oddio mi si è ritto il cellulare o mi servono dei nuovi vestiti per il lavoro ecco.

Un paese così piccolo è un ottimo spunto di riflessione per un analisi sociologica sulla società australiana, da diversi punti di vista: ci sono pochissimi giovani in giro, per lo più bambini in età scolare, ma sopra i 14 anni è difficile avvistare qualche faccia giovane; dunque la presenza degli anziani è massiccia, come quella di giovani famiglie, e si capisce che in queste zone molto presto si inizia a fare figli e sistemarsi. Ma oltre questa gioventù, di miei coetanei, o anche della fascia 25-30 anni è difficili avvistarli, a meno che non abbiano la prole al seguito. Non giudico le scelte di vita ma fa strano questo buco generazionale.

Poi i miei colleghi sono colorati, hanno una mentalità abbastanza chiusa bisogna ammetterlo e qualche volta ci sono state delle uscite imbarazzanti, come il mio responsabile che non sa chi sia Hitler oppure che uno di loro mi chiede se festeggiamo anche noi il natale in Italia. What?
Di aneddoti del genere ne avrei a bizzeffe, sicuramente le abitudini sono diverse. Non sono tutte le persone così, per carità, ma mi rifaccio alla mia piccola cerchia sociale e ogni tanto quando mi insultano perché ho mangiato gli spinaci un paio di domande sul cosa ci faccio qui me le sono posta. Con simpatia sia chiaro.

Ci sono cose positive però come vi dicevo: dopo il primo periodo in cui gli autoctoni di Bicheno ti guardano con sospetto e pretendono di non capire cosa dici per via del tuo accento straniero, ma poi dopo poco alla fine consoci tutti.
Al supermercato finisce che fai due chiacchiere con tutte le commesse, anche al general shop lo stesso. In posta non c’è più bisogno di tirare fuori il documento per ritirare la corrispondenza, e alla bakery sanno tutti come prendo il caffè: un latte senza zucchero. È carino, ti senti parte della comunità.
Poi so già che mi lamento che mi manca la vita sociale, ma un giorno rimpiangerò di avere la spiaggia a cinque minuti a piedi da casa. Ne sono certa.

Questa la mia vita in campagna, che non è sempre facile e si scontra con difficoltà culturali, ogni tanto c’è da diventare pazzi eh, ma è sicuramente un’esperienza che difficilmente dimenticherò.

Per questo mese ho finito, spero vi sia piaciuto questo racconto diverso dal solito. Vi saluto ora, e vi do appuntamento al mese prossimo con una nuova puntata del diario letterario di un’italiana in Australia

I capitoli precedenti li trovate in questa pagina.

A presto!

Giorgia

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